Vai al contenuto

Dall’AI washing al valore concreto: intervista a Marco Matarazzi di Slope

Con questa intervista cominciano le anticipazioni su temi e speaker di BTO 2025. Parleremo di Intelligenza Artificiale sotto vari aspetti: dalla necessità di distinguere l’hype dalla sostanza ai rischi/opportunità per l’ospitalità; dal ruolo della formazione e della cultura digitale nel presente a uno sguardo sul futuro.

Ciao Marco! Tu sei un giovane lungimirante che si è circondato di altri giovani per creare una software house in rapida espansione. Nonostante la crescita ti vedo molto prudente nel non inciampare nella buccia di banana. Ovviamente la buccia di banana è rappresentata dall’euforia per l’AI. É così come immagino?

Sì, effettivamente crediamo fortemente che le nuove tecnologie vadano seguite, ma soprattutto comprese e testate, ma prima di integrare nel software e metterle a disposizione di migliaia di utenti è fondamentale che siano mature e che la loro funzione nel prodotto sia chiara e ben definita, si deve incastrare bene.

Il rischio di inserire funzionalità “AI” in maniera superficiale o non coerente con il prodotto è alto. Molte software house cadono nella tentazione di accontentare l’ufficio marketing (non me ne vogliano i colleghi del marketing) e i clienti che chiedono soluzioni per sfruttare quest’ultimo hype. L’intelligenza artificiale è ancora relativamente giovane, evolve in maniera molto rapida e per questo preferisco un approccio più cauto.

Quello che stiamo facendo in questo periodo dietro le quinte è sperimentare: creiamo prototipi, misuriamo le performance, adattiamo le soluzioni man mano che la tecnologia evolve. L’obiettivo è prototipare senza però includere nulla nel prodotto finale finché non siamo certi che sia abbastanza maturo per essere utilizzato su larga scala. Preferiamo offrire un servizio stabile e durevole nel tempo piuttosto che inseguire ogni novità tecnologica. Quando integreremo l’AI, sarà perché avremo qualcosa che funziona davvero e porta valore concreto agli albergatori, non solo un’etichetta di marketing.

Marco, nel settore tech c’è una corsa a etichettare tutto come “AI-powered”. Quali sono, secondo te, i segnali più chiari che ci aiutano a distinguere tra un vero strumento basato su AI e un caso di semplice marketing, quindi di AI washing?

I segnali di AI washing sono abbastanza riconoscibili. Il primo è la genericità delle promesse: se un fornitore parla solo di “algoritmi avanzati” senza spiegare cosa fa concretamente l’AI, è un red flag evidente.

Il punto cruciale è il product-market fit dell’intelligenza artificiale, deve esserci una corrispondenza logica tra il tipo di AI utilizzata e il miglioramento effettivo del prodotto software.
Troppo spesso vedo aziende che vogliono incastrare per forza la potenza di un LLM in un software gestionale dove in realtà questo serve a poco, ma essendo questa integrazione relativamente facile da includere, dal punto di vista tecnico dico, perché non farlo? Perché a mio avviso ogni aggiunta al software deve essere integrata in maniera perfetta nel prodotto, solo così puoi dare valore nel lungo periodo. Le scorciatoie sono un palliativo solo per il breve.

Nel nostro settore, se un sistema di gestione alberghiera dice di usare l’AI per “ottimizzare tutto” ma non sa spiegare come predice concretamente la domanda, come personalizza l’esperienza ospite o come migliora il revenue management, probabilmente è solo un software tradizionale (o in certi casi pure vecchio) ma con una nuova etichetta. La vera AI dovrebbe essere trasparente sui suoi meccanismi e dimostrabile nei suoi risultati.

Quando un hotel investe in una tecnologia che fa AI washing, quali sono gli errori più gravi e costosi a cui può andare incontro, in termini di revenue, customer service o reputazione?

Il rischio principale non è tanto di natura tecnica quanto strategica. Un hotel che si affida a un’azienda che fa AI washing si sta in realtà affidando ad un fornitore che è a corto di innovazione.

Il problema di fondo è che queste aziende hanno un team di prodotto che lavora più per vendere e impressionare che per innovare davvero. Non riescono a evolvere il loro software in modo significativo, quindi cosa fanno? Prendono l’ultimo ritrovato, quindi oggi questo è un LLM, oppure un algoritmo di machine learning, e lo inseriscono più o meno forzatamente nel prodotto. Non per risolvere un problema reale, ma per avere qualcosa che luccica e fa scena durante la demo.

Questo è sintomatico di un’incapacità di fondo: invece di innovare dove serve veramente, magari nell’ottimizzazione dei processi, nell’integrazione dei sistemi, nell’esperienza utente, si limitano a “riscaldare una minestra già fredda”.

L’hotel finisce così per legarsi a un fornitore che non sa realmente dove sta andando il mercato, che non ha una visione chiara del futuro del settore. È come comprare un’auto perché ha i fari a LED, quelli adattivi che si posizionano in automatico, ma ignorando che il motore è vecchio di vent’anni.

Come dovrebbe comportarsi un fornitore serio per dimostrare che la sua soluzione usa AI in modo autentico e non come semplice etichetta? Esistono standard, metriche o prove pratiche che un albergatore dovrebbe richiedere?

Non esistono standard e non esistono metriche universali per valutare l’autenticità di un’integrazione AI all’interno di un software. Quello che va capito è se l’aggiunta della funzionalità AI è veramente organica e utile, oppure se è semplicemente qualcosa che fa dire “interessante e curioso” ma finisce lì.

Il punto è che questi strumenti devono essere adottati e devono dare utilità nell’atto pratico. Non basta che funzionino sulla carta o durante la demo.

Quello che un albergatore dovrebbe fare è valutare il software nel suo insieme, con occhio critico. Va capito se tutte le funzionalità si incastrano bene tra loro, se il sistema è usabile, se effettivamente la funzione AI è stata aggiunta perché risolve un problema concreto e aiuta a migliorare un processo. Oppure se è stata inserita semplicemente perché richiesta da un mercato che ancora ha solo FOMO (fear of missing out) e vuole dire “anche io ho l’AI nella mia soluzione software”.

La chiave è l’armonia del prodotto. Un software maturo e ben progettato si riconosce dalla coerenza delle sue parti. Se l’AI sembra un corpo estraneo, probabilmente lo è. Se invece si integra naturalmente nel workflow e risolve problemi reali che l’albergatore aveva anche prima, allora probabilmente è un’implementazione seria.

Lavorare solamente sulla base della FOMO è limitante: di fretta non si fa nulla di buono, si corre semplicemente senza una direzione chiara.

Molto spesso il problema non è solo lo strumento, ma anche come viene utilizzato. Quanto è importante che gli hotel sviluppino una cultura digitale e una consapevolezza critica per evitare di cadere nelle trappole dell’AI washing?

È fondamentale, ma dobbiamo essere realistici: gli hotel non possono e non devono diventare tecnici informatici. Non è il loro mestiere e non è giusto pretenderlo, anzi. Tuttavia, sviluppare una sensibilità alla tecnologia è importante per tutti.
Il punto è che un buon software si riconosce anche da questo: deve essere facile da utilizzare, immediato, intuitivo. Se per capire se l’AI funziona davvero devi avere una laurea in informatica, allora probabilmente non è un buon prodotto.

L’intelligenza artificiale dovrebbe essere uno strumento in più per aiutare gli operatori a utilizzare il software in modo più semplice, non più complicato. I software del futuro saranno sempre più “agentici”, ossia si devono comportare come degli assistenti che sono in grado di comprendere cosa vuoi fare e aiutarti a farlo senza che tu debba imparare procedure complesse.

La cultura digitale che serve agli albergatori non è tecnica, ma critica: saper riconoscere quando uno strumento ti sta davvero semplificando la vita versus quando ti sta solo complicando le cose con funzionalità inutili. È la differenza tra un software che ti fa lavorare meglio e uno che ti fa perdere tempo.

Se proiettiamo lo sguardo a 3-5 anni, pensi che l’AI washing si ridurrà grazie a una maggiore maturità del settore, oppure vedremo un proliferare di soluzioni sempre più sofisticate ma opache? E come possiamo prepararci oggi per difenderci domani?

Sono convinto che l’AI washing si ridurrà nei prossimi 3-5 anni. L’effetto “corsa all’oro” che stiamo vivendo ora si assesterà, e questa tecnologia rivoluzionaria diventerà semplicemente parte integrante dei software.

Le persone daranno per scontato che l’AI sia centrale nel cuore delle applicazioni moderne, quindi vedere l’etichetta “powered by AI” non sarà più una leva di marketing o un elemento di distinzione. È un po’ come parlare di cloud oggi: nessuno più si vanta di avere un “software cloud-based” perché si dà per scontato che una soluzione moderna sia accessibile tramite il cloud (NB: anche se i software nati in cloud non sono molti, ma non mi dilungo su questo tema, ne avrei per giorni).

Quello che succederà è che l’intelligenza artificiale diventerà invisibile, integrata naturalmente nei processi. Non parleremo più di “funzionalità AI” ma semplicemente di software che funzionano bene, che anticipano le nostre esigenze, che ci aiutano a lavorare meglio.

Per prepararsi oggi, il consiglio è di non farsi abbagliare dalle etichette ma di concentrarsi sui risultati concreti. Scegliete fornitori che hanno una visione chiara del futuro, che investono in ricerca e sviluppo seriamente, non solo in marketing. Quelli che oggi fanno AI washing probabilmente tra cinque anni saranno ancora indietro, mentre chi sta lavorando con serietà emergerà naturalmente.

La vera domanda, oggi come domani, non è “hai l’AI?” ma “il tuo software migliora il mio lavoro?”. Una valutazione infinitamente più concreta e utile.

L’intervista riguarda il topic “Hospitality” ed è stata curata dal coordinatore scientifico del tema, Nicola Zoppi.
Ti aspettiamo a BTO – Be Travel Onlife per ascoltare dal vivo Marco Matarazzi.
L’appuntamento è a Firenze l’11 e 12 novembre 2025.